In occasione della cena della Vola di cui faccio orgogliosamente parte, si è pubblicato "la gazzetta del Vampiro". Visto che non avevo tempo di scrivere un pezzo ho scartabellato alcuni miei vecchi racconti.
Ne avevo scritto più di cento.
Mi fanno cacare titanic ricolmi di merda fritta e caramellata.
Ma a qualcuno piacciono. Quindi lo metto in rete, il prescelto per la gazzetta. Se vi piace ve ne getto altri.
Ne avevo scritto più di cento.
Mi fanno cacare titanic ricolmi di merda fritta e caramellata.
Ma a qualcuno piacciono. Quindi lo metto in rete, il prescelto per la gazzetta. Se vi piace ve ne getto altri.
Se lo avessi fatto, sarei andato in periferia, avrei cercato una pistola (ho sentito che basta andare in un campo di zingari, ma non so quanto crederci), poi mi sarei allenato in un poligono che avrei montato in un posticino in campagna isolato che conosco. Avrei anche cercato un silenziatore (la pistola produce ancora il rumore di una martellata, ma sempre meglio che lo scoppio).
Quando poi sarei stato in grado di centrare un obbiettivo della grandezza di una testa dalla distanza di almeno cinquanta metri (lo so, è tanto, ma voglio essere sicuro), mi sarei appostato un Sabato sera vicino alla casa della vittima prescelta e, quando sarebbe ritornata a casa, avrei fatto fuoco. Naturalmente avrei ucciso anche chi era con lei in quel momento.
Potrei prendere qualcosa che funga da randello, per esempio un cric, o un martello da fabbro, o un mazza da cricket. Quindi mi allenerei in soffitta, e andrei in palestra, per essere veramente letale attraverso l’arma che ho scelto. Magari potrei trovare un manichino su cui scaricarmi.
Quindi un giorno busserei alla porta della vittima prescelta (oppure potrei imparare a scassinare la porta), e introdottomi userei ripetutamente il randello su suo corpo, concentrandomi inizialmente in punti non vitali (articolazioni, addome), ignorando i suoi lamenti, per poi finirla con un colpo netto alla base del collo. Naturalmente se ci fosse qualcuno nel suo letto, lo colpirei immediatamente alla testa per potermi concentrare meglio su di lei.
Collezionerò per un po’ lame, coltelli, forbici, e altri simpatici oggetti acuminati o lo stesso taglienti. Li affilerò tutti per bene. Mi eserciterò, finché non avrò un numero sufficiente di lame, su animali di piccolo taglio e su ortaggi. Comprerò un paio di guanti di pelle nera. Andrò a casa sua, anche sfondando la porta se necessario. Estrarrò dalla valigetta la pistola sparachiodi, con cui la crocifiggerò inizialmente al muro. Pianterò poi per sicurezza un chiodo da campeggio per ogni piede e ancora sulle mani. “No, no, tesoro.” mi dirà, con la faccia già rigata dalle lacrime. Io però non la ascolterò e userò un coltellaccio per strapparle tutti i vestiti. Allora, con un bisturi le reciderò i tendini dei piedi, e le graffierò artisticamente il ventre. Appena intravederò un organo interno, con un ago le tormenterò gli occhi e le orecchie. Sarà mezza cieca e mezza sorda, quando le infilerò un amo su nel palato, così che da “Perdonami!” sentirò “Fettonnammi”. Riderò. Le
strapperò le dita delle mani e dei piedi con una mannaia. Le segherò via un braccio. Ma annoiandomi del gioco finirò con lo sgozzarla con il coltellino svizzero che mi regalò.
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